In un pomeriggio di agosto di molti anni fa andai a Hilversum per vedere il suo famoso Municipio, capolavoro di Dudok.
Willem Marinus Dudok, massimo esponente del neoplasticismo olandese e seguace di Wright, aveva studiato da ingegnere in un’accademia militare, poi era diventato architetto capo di quella città lasciandovi opere esemplari, alle quali si ispirarono, tra gli altri, anche Michelucci e il Gruppo Toscano per le parti più belle della Stazione di Firenze.
Il posto è tranquillo e silenzioso, ricco di verde. Davanti al Municipio si stende una vasca d’acqua molto grande in cui cielo e architettura si specchiano in una luminosità tipicamente olandese. Fiancheggio la vasca, passo in un lungo porticato che sembra una stoà moderna, arrivo all’ingresso e lì mi fermo, pensando di dover chiedere a qualcuno il permesso per la visita. Ma non c’è nessuno. Un po’ imbarazzato, mi inoltro cauto: ambienti pulitissimi, di un’eleganza sobria e accurata, dove ogni dettaglio è una lezione di architettura.
Sulla destra uno scalone invita a salire. Giungo a un vestibolo, oltre il quale immagino debba trovarsi la sala del Consiglio. Dato il silenzio che regna assoluto, mi azzardo ad aprire una porta: mi appare una grande sala deserta, con tutti gli arredi al loro posto, uno spazio elegante dove tutto è fermo, e anche il tempo sembra segnare una pausa.
Ma a destra c’è qualcosa che pulsa: sono i riflessi della vasca esterna che si proiettano sulla parete dietro i seggi della giunta, disegnando una danza vivace e cangiante. Quel gioco di luci anima tutto lo spazio, e cerco di immaginarlo quando si manifesta durante una qualche seduta del consiglio: l’effetto deve essere davvero gradevole.
Per me, in quel momento, l’effetto è quello di trascinare il mio pensiero molto lontano: l’acqua, la terra, la luce, il tempo… Penso alle acque che scorrendo modellano i paesaggi, penso agli antichi che usavano l’acqua per misurare le ore, penso alle ammirevoli opere idrauliche di queste ‘terre basse’, e poi alla luce di questo loro cielo immenso percorso dalle nuvole, lo stesso cielo dei paesaggi di Ruisdael… L’Olanda, terra rubata al mare, ti sorprende facendoti sentire dappertutto a contatto con gli elementi primari della Creazione, perfino qui dentro quest’aula composta e silenziosa.
Molto tempo dopo, sfogliando un libro su Dudok, ripenso a queste suggestioni e mi chiedo se quel gioco di riflessi Dudok lo avesse in qualche modo previsto. Guardo i disegni del progetto e trovo alcuni indizi: la vasca è stata portata a ridosso della facciata del Municipio, e sotto le finestre sono stati posti dei getti orizzontali a increspare la superficie dell’acqua, mentre all’interno la parete principale della sala è stata avvicinata alle finestre scegliendo una disposizione dei posti trasversale e non longitudinale; e quella parete è stata anche lasciata vuota da stemmi o gonfaloni, che pure sarebbe stato ovvio disporvi sopra.
Propendo per il sì.
Poi mi viene in mente che, proprio negli stessi anni in cui si costruiva il Municipio, si stava anche costruendo l’Afsluitdijk, la colossale diga sul Mare del Nord fatta per chiudere il bacino dello Zuiderzee e sottrarre nuove terre al mare. Trentadue chilometri di granito portato dalla Svezia, qualcosa come una dozzina di piramidi di Cheope.
Non è retorica dire che quello fu un momento storico nell’eterno confronto degli Olandesi con le acque. E forse Dudok, in quel contesto, potrebbe aver pensato di porre un simbolo dell’Elemento Acqua nella sala del consiglio municipale di Hilversum, una città così vicina a quelle terre recuperate dal mare. Ma non un simbolo qualsiasi: un simbolo vivo e pulsante, una specie di idrofania…
Chissà.