Questo testo riguarda una ricerca che ho iniziato molti anni fa e ancora non ho finito. Probabilmente anzi è impossibile finirla perché molto complicata e i dati disponibili assai incerti e lacunosi. Però l’argomento è suggestivo: chiedo dunque pazienza e comprensione. Grazie.

 

 

Quando a Firenze si parlava greco – 1

Mercanti siriani, missionari bizantini, militari barbari. E i fiorentini.

 

Breve premessa

Quando Firenze si chiamava Florentia, i fiorentini parlavano latino, ma non tutti: a lungo infatti vissero in città gruppi di persone di lingua greca. Erano immigrati dal Medio Oriente, commercianti, soldati, uomini di chiesa, tutte persone che ebbero un ruolo importante in momenti difficili della storia cittadina. Della loro presenza ci resta traccia in qualche lapide sepolcrale del V secolo trovata scavando sotto la chiesa di Santa Felicita, vicino al Ponte Vecchio, e qualche altra testimonianza meno diretta. Alcune vicende della chiesa cittadina infatti fanno presumere la presenza a Firenze, dal VII secolo in poi, di un clero mediorientale che aveva portato sulle rive dell’Arno i culti delle terre di origine. Allargando la nostra visuale, sembra che queste presenze siano legate da una continuità nel tempo e che rientrino in un fenomeno generale che vide molte persone percorrere un cammino che, attraversando il Mediterraneo, portava dal Medio Oriente non solo a Firenze, che qui ci interessa in particolare, ma in molti altri luoghi le cui coste si affacciano sul mare nostrum; una via che fu percorsa moltissime volte, con scopi e in circostanze diversi, ed è significativo che quelle persone provenissero da una stessa area geografica e che non si esprimessero nella loro lingua madre, ma nella lingua internazionale del tempo: il greco, appunto.

I tre gruppi di ‘greci’: mercanti, militari, missionari

Il primo gruppo di questi ‘greci’ qui preso in esame è quello di cui abbiamo le più dirette testimonianze, e la cui presenza in città ha dato il via all’idea di un loro ruolo importante nella evangelizzazione dei fiorentini antichi, nonostante fossero – così almeno si crede – dei semplici mercanti. Teoria che solo in parte credo sia vera.

Il secondo gruppo è composto da militari: anche di loro ci sono rimaste alcune lapidi che ne documentano sia la presenza in città al tempo della guerra tra Goti e Bizantini nel VI secolo, sia la provenienza dal Medio Oriente.

Un terzo gruppo è composto da uomini di chiesa, anch’essi mediorientali ma che parlavano la lingua greca, che vennero in città dapprima pochi e poi nel tempo fecero parte di un movimento missionario che sotto i Longobardi interessò non solo l’Italia; movimento che è rimasto poco conosciuto, ma le cui tracce si ritrovano a Firenze ancora nell’XI secolo, quando furono definitivamente abbandonati le preghiere e i riti greci di cui quei preti erano stati portatori.

Impostazione e limiti della ricerca

In questo testo cercherò di interpretare i pochi dati che abbiamo secondo una prospettiva ragionevole, anche se inevitabilmente influenzata da una interpretazione soggettiva dei pochi dati disponibili, per cui è inevitabile che restino margini più o meno ampi per interpretare diversamente quei dati. Va tenuto conto però che molte delle pubblicazioni oggi più diffuse derivano da studi piuttosto lontani nel tempo nei quali sono state poste le basi degli argomenti che qui si trattano, ma non sempre quelle basi risultano solide, come è facile verificare. Di ciò si renderà di volta in volta conto in queste pagine, in modo che chi legge possa farsi un’opinione.

Perché infine Santa Felicita

Nell’ultima parte del testo si parla del culto di Santa Felicita e delle vicende della chiesa a lei dedicata che sarebbe, secondo alcuni, la prima costruita a Firenze. Ciò è certamente inesatto, essendo stata San Lorenzo la prima chiesa fiorentina, ma Santa Felicita è certo tra le più antiche e ancor più antico sembra il culto di questa santa, che presenta aspetti curiosi, dato che esistono due sante di questo nome e che a quella venerata a Firenze (ma anche ad altre) si unisce il culto singolarissimo dei suoi figli martiri, i sette Maccabei. La continuità della presenza di questa chiesa e di questo culto, proiettati sullo scenario cittadino, possono contribuire a fare un po’ di luce su periodi molto oscuri. Un po’ di luce, anche se debole, indiretta e riflessa è pur sempre migliore del buio, e può aiutare a correggere alcuni errori che si leggono qua e là sui testi di storia locale, spesso ripetuti solo per aver assunto acriticamente le informazioni.

(Segue nell’allegato)

Allegato

Gli ambienti sotto la chiesa di Santa Felicita, dove furono trovati i reperti cui si fa cenno nel testo (foto di M.C. Lombardi Francois).