Due marmi di epoca romana incuriosiscono i visitatori del Battistero. Uno è un bassorilievo murato sulla facciata sud della scarsella, in basso, e rappresenta una scena di commercio e un’altra di vendemmia: sulla sinistra si vede una nave da trasporto alla fonda, con degli uomini che scaricano merce, e sulla destra altri uomini che pestano l’uva nei tini.
Dunque non si tratta di una battaglia navale come ingenuamente inteso da qualcuno. A qualcun altro invece il vino ha fatto pensare, dato che il marmo sta in un edificio religioso, che ci sia un richiamo all’Eucarestia, ma mi sembra un’interpretazione parecchio stiracchiata.
Passiamo a considerazioni più oggettive. Guardando con un po’ di attenzione questo marmo si capisce che la lastra era in origine più lunga, e che poi è stata tagliata (piuttosto malamente) in tre parti, due delle quali sono quelle che si vedono ora e che, accostate, hanno la giusta larghezza per inserirsi nel disegno del rivestimento di facciata. Il terzo pezzo invece fu gettato via, e questo vuol dire che la scena rappresentata nel bassorilievo non interessava a nessuno, e che gli operai badavano solo ad avere un marmo pregiato e della esatta misura per quello che dovevano fare.
Era il segnaposto di un’inumazione? Non sembra proprio, vista la qualità del manufatto, le scene rappresentate e la mancanza di qualunque scritta; e poi nel caso avrebbero potuto fare qualcosa di meno complicato e senza rapportarsi al disegno del rivestimento della parete.
Tutto fa pensare invece a un lavoro di riparazione fatto per chiudere un buco nel rivestimento: persone tutt’altro che raffinate avrebbero cioè preso il primo marmo antico che avevano a portata di mano, in quanto ritenuto adatto a stare su un monumento anch’esso antico, indipendentemente da che cosa rappresentava. Quella che si dice ‘una pezza a colore’, insomma. La toppa deve essere stata dunque eseguita quando in città erano ancora reperibili marmi romani di spoglio, e, siccome la scarsella è degli inizi del XIII secolo, tutto andrebbe datato in quegli anni.
Che cosa avesse originato la lacuna non è dato sapere: potrebbe essere anche stato un danno accidentale, data la collocazione in basso, ma mi voglio spingere a fare un’ipotesi piuttosto stravagante.
A quel tempo si lavorava per adattare il monumento alla funzione di battistero cittadino. In quel contesto era necessario ricavare da qualche parte una sacrestia, e questa fu il piccolo vano che c’è adesso proprio in corrispondenza del nostro marmo; e in una sacrestia era importante portarci l’acqua, creando insomma un minimo di impianto idraulico. Tutti i collegamenti alla rete idrica cittadina erano a ovest, e dunque verso quell’angolo della sacrestia; così si decise di far passare lì qualche tubo, necessariamente in basso: non era un lavoro facile, anche perché si doveva evitare di tagliare o danneggiare lo zoccolo esterno. La parete del piccolo vano però era – e lo è ancora oggi – piuttosto sottile, e perciò, come sempre succede, fu sfondata; e così fu necessario subito ripararla. Ed eccoci qua.
Potrebbe essere?
Ma devo dire qualcosa anche a proposito di una bella lapide della seconda metà del II secolo che è all’interno, nel matroneo: misura circa 1 mq, ed è stata utilizzata come parapetto di uno dei coretti. Nell’iscrizione si legge che fu fatta dal collegium fabri tignari di Ostia (una corporazione di falegnami) in onore dei regnanti del tempo verso i quali – come si può intendere da altri rilievi simili dato che l’iscrizione non è completa – la corporazione esprimeva gratitudine per qualche beneficio ricevuto (leggi: un lucroso appalto).
Nel Settecento questa lapide fu creduta prova dell’origine barbarica del monumento dagli eruditi del tempo, che spiegavano così il fatto che si fosse dimostrato tanto ‘disprezzo’ nell’usarla come un qualsiasi materiale da costruzione. In realtà quegli eruditi di molte lettere e di poco cantiere non tenevano conto del fatto che sul lavoro si valuta sempre ciò che è più conveniente fare, a parità di risultato; e quindi, se quel marmo era disponibile e non serviva a nessuno, lo si poteva benissimo impiegare dove tornava utile farlo, e ciò anche se non si era in epoca barbarica, ovviamente.
Risolta dunque la pregiudiziale degli eruditi, c’è da chiedersi che cosa ci faceva a Firenze un così pesante messaggio di ringraziamento di una cooperativa di Ostia.
Ma Ostia era uno scalo frequentatissimo, dove certo si fermavano anche le navi che portavano dall’Egeo i marmi del Tempio di Marte. Forse perciò, visto che il collegium non esisteva più da qualche secolo e che un così bel pezzo di marmo già spianato sarebbe sicuramente riuscito utile per fare tante cose, qualcuno lo prese, forse pagando, e se lo portò dietro. Arrivato sul cantiere a Firenze bastò adattarlo un poco, ed eccolo lì.
A fare arzigogolare gli eruditi.
Dall’alto in basso: il bassorilievo ‘navale’ della scarsella; particolare della pianta del piano terreno del Battistero; lapide con iscrizione del II secolo murata nel parapetto di un coretto del matroneo. Su quest’ultima, al margine destro, si notano due buchi riempiti di calce: sono sicuramente le prese in cui passavano le corde usate per sollevare e spostare la lastra in cantiere.