Per adeguarsi agli standard moderni, lo stadio Franchi di Firenze aveva da tempo bisogno di cambiamenti: era necessario coprire le gradinate, avvicinare il pubblico delle curve al campo di gara, e poi aggiungere quelle funzioni accessorie che oggi sono richieste per un impianto di livello internazionale. Così, negli ultimi tempi le sollecitazioni della Fiorentina hanno portato l’Amministrazione Comunale a confrontarsi con una situazione difficile a causa dei problemi di tutela del monumento. Come si sa, infatti, l’opera di Pier Luigi Nervi è un indiscusso capolavoro dell’architettura moderna, in particolare per le sue famose scale elicoidali, la torre di Maratona e la pensilina della tribuna centrale.
Per risolvere una questione diventata spinosa, e in cui si prospettava addirittura l’esodo della Fiorentina verso un altro comune, il sindaco Nardella si è affidato a un concorso internazionale, i cui risultati però non stanno trovando un consenso proporzionato all’impegno profuso: sono infatti parecchi i giudizi negativi, espressi non soltanto dai soliti fiorentini dediti alle polemiche, ma anche da persone molto equilibrate e qualificate, i cui pareri non si possono liquidare come immotivati o preconcetti. Deve esserci davvero qualcosa che non va, e Firenze, dopo lo scempio della Stazione di Michelucci, non può permettersi di compromettere anche l’immagine di un altro dei pochissimi capolavori dell’architettura del Novecento di cui può ancora vantarsi (oltre a questi, la Scuola di Guerra Aerea di Raffaello Fagnoni e la Centrale Termica delle Ferrovie di Angiolo Mazzoni).
La questione dunque è seria, e l’amministrazione non può fare una politica dello struzzo nascondendosi dietro i verbali di una commissione concorsuale: potremmo sentirci dire «L’operazione è riuscita, ma il paziente è morto».

Per impostare una riflessione costruttiva su questa situazione così delicata, va subito ricordato che in questa fase del concorso sono state presentate soltanto delle idee di massima, che saranno poi da definire – non da snaturare – nelle successive stesure esecutive del progetto. Detto questo, faccio alcune osservazioni, anche se sono questioni difficili da spiegare, perché quando si parla di architettura bisognerebbe disegnare, come quando si parla di musica bisognerebbe suonare.

L’elemento caratterizzante il progetto Arup è una copertura che, per non toccare l’opera di Nervi e per non emergere nel panorama, è stata ideata (cito la scheda progettuale) come “una sottile lama metallica rettangolare [che] levita sopra le tribune storiche dello Stadio”. Questa descrizione appare venata di molto ottimismo, dato che dentro lisce fodere metalliche si nascondono notevoli strutture di tralicci di acciaio che possono coprire una superficie di 33000 mq (campo di calcio escluso) a un’altezza di 25 metri (Nervi è a 19), e poi sostenere sbalzi anche di 50 metri, resistere a venti, neve, carichi accidentali vari e anche agli attentati, e ancora sostenere pannelli fotovoltaici, impianti di illuminazione, passerelle di manutenzione, e perfino due lunghe tribunette con skybox appese sul lato Maratona.
Sarà interessante vedere quali modifiche dovranno essere apportate a questa struttura per adeguarla alle normative antisismiche e di sicurezza; e per evitare che, nel caso, si abbiano complicazioni o ritardi nei programmi, potrebbe essere estremamente utile per il Comune un tempestivo confronto con il Genio Civile e i Vigili del Fuoco, i cui uffici non mi sembra che finora siano stati coinvolti nelle fasi istruttorie del concorso.

Ma la tutela del monumento non è da intendere solo in termini di norme e di misure. Sotto l’aspetto percettivo, l’effetto di questa piastra non sarà quello di levitare, ma di incombere sullo stadio. Il Franchi-Berta è nato come uno spazio di proporzioni dilatate, molto aperto, con la vista su Fiesole e sulle colline, e con la torre di Maratona che si slancia nel cielo. Il carattere di uno spazio è anch’esso un valore da tutelare, come è stato evidente per tutti guardando ad esempio qualche recente performance artistica in Piazza della Signoria; ma nel progetto Arup (e non solo in esso) lo spazio di Nervi non si ritrova più, anche se i suoi principali elementi – torre, scale, pensilina – sono rimasti tutti lì: quella che era un’immagine di esterni è diventata un’immagine di interni, e anche piuttosto freddina.

Si potrebbe obiettare che era impossibile fare altrimenti, dato che le due nuove tribune trasversali avrebbero chiuso il perimetro tutt’intorno al campo di calcio, ma non è così: mantenere un rapporto visivo con i riferimenti paesistici era possibile se si progettavano coperture di altro tipo. Per innovare il monumento rispettandolo, insomma, c’era una strada stretta ma praticabile, ed era quella della misura e dell’essenzialità, ed era la strada indicata da Nervi, che con poche risorse aveva creato strutture essenziali ma fortemente iconiche, ben sapendo che le strutture ‘vere’ sono bellissime, e vanno fatte vedere.

Il progetto Arup offre motivi di riflessione anche su altri punti che riguardano la tutela dell’architettura, ma qui per non generare equivoci basti fare chiarezza su uno, e cioè che gli adeguamenti sono necessari anche per i monumenti, perché se un qualunque organismo edilizio perde la propria funzionalità muore, e ciò che era architettura diventa archeologia. Per questi adeguamenti nessuno si aspetta l’imitazione dell’esistente: bisogna creare, innovare, ma percorrendo con umiltà e rispetto la via dell’equilibrio e della coerenza con i valori da tutelare, una via che consiste essenzialmente nell’usare un linguaggio architettonico appropriato, fatto di geometrie, proporzioni, materie calibrate, e, appunto, anche di senso della misura, perché la nuova immagine non oscuri quella che si vuole proteggere. E qui è evidente che, al di là della legittima diversità delle forme, Arup e Nervi non parlano lo stesso linguaggio.

Era possibile fare una copertura che non prevalesse sull’immagine di Nervi? Assolutamente sì: oggi molti stadi hanno bellissime coperture leggere, fatte con nuovi materiali che offrono possibilità creative incredibili e innovative, e anche rispettose dell’ambiente. Con strutture di questo tipo, rispondenti nella sostanza alla lezione di Nervi, si poteva mantenere quel senso di plein air che caratterizza lo stadio e che dà ossigeno alla torre, alla pensilina, alle scale non a caso rotonde. Da quello che si è potuto vedere, invece, nessuno ha seguito questa traccia, forse temendo che la leggerezza e il minimalismo non sarebbero stati apprezzati. Eppure era una traccia antica: «Et vela erunt» sta ancora scritto sui muri di Pompei; venite gente all’anfiteatro, oggi tireremo su i velari, niente scottature! Ecco dunque il suggerimento: coperture leggere, mobili, en plein air, come c’erano anche sul Colosseo. Duemila anni fa.

Ma per concludere vorrei aggiungere una nota di grande amarezza riguardo a un altro tipo di tutela. Nel bando non è stato chiesto di lasciare un rispettoso ricordo, come ancora c’è, dei cinque giovani fucilati al muro dello stadio nel ’44. Perché?
Questo mi sembra un segnale molto brutto, e qui Arup non c’entra.

A destra: disegni d’epoca della torre di Maratona con la scala elicoidale e della tribuna coperta (Comune di Firenze, documentazione del Bando di concorso); esempio di copertura a membrana tipo Eclipse; copertura retrattile dello Stadio Olimpico di Roma; testimonianza di Luigi Bocci (in: M. Piccardi e C. Romagnoli, Campo di Marte, La casa Usher, 1990).