“Negli anni di Cristo 1150 si fece fare il capannuccio levato in colonne”, scrive nella prima metà del Trecento il cronista Giovanni Villani riferendosi alla costruzione della lanterna di marmo che corona in alto il Battistero. Ma perché la chiama ‘capannuccio’ – parola che implica un giudizio di poca qualificazione – invece di usare il più appropriato termine di ‘lanterna’? E perché specificare che è ‘levato in colonne’? Forse che quello che c’era in precedenza non le aveva?
Dubbi che meritano un tentativo di spiegazione.
Partiamo da quando si presentò il problema, e cioè da quando la cupola era aperta con un ‘occhio’ da cui entrava la pioggia. Ciò causava, oltre che evidenti disagi, un dannoso infradiciamento delle murature, ed è molto probabile che, appena l’edificio fu usato come chiesa, si sia cercato di rimediare creando una protezione. Questa protezione non deve essere stata in muratura, perché sul tetto non ci sono tracce che lo facciano pensare: se fu fatta, probabilmente fu in legno, come un piccolo riparo appoggiato su dei colonnini ancorati ai marmi ma che lasciava aperti i lati. Varie miniature del codice Chigi (circa metà del XIV sec.), per quello che possono esserci d’aiuto, indicano questo.
Un manufatto simile sarebbe stato appropriato chiamarlo ‘capannuccio’; così il termine sarebbe poi rimasto a denotare ciò che c’era in cima al tetto del Battistero, come quello di ‘scarsella’ era rimasto attaccato alla strana abside rettangolare.
Andiamo adesso a vedere un’altra miniatura, quella del Codice del Biadaiolo, databile verso il 1340, quando già da un paio di secoli il ‘capannuccio’ era stato ‘levato in colonne’, e possiamo notare che la lanterna è appresentata priva di vetrate: quindi l’acqua a vento penetrava ancora nell’interno, minacciando la tenuta dei grandi mosaici. Lo si capisce da un particolare diligentemente annotato dal miniaturista: al piede delle colonnine si vede una protezione realizzata con assicelle o lastre di marmo messe di taglio per evitare che l’acqua del ripiano sgrondasse nell’interno. Il ‘capannuccio’ insomma garantiva una protezione ancora insoddisfacente: erano necessarie delle vetrate.
Non sappiamo con precisione quando furono inserite, ma il problema doveva essere da tempo ben noto a tutti, anche perché le infiltrazioni rendevano problematico il lavoro dei mosaicisti impegnati a conferire un’adeguata veste cristiana al monumento. Perché dunque il ritardo?
Probabilmente il motivo fu nel fatto che per inserire le vetrate si dovevano scalpellare i capitelli, e questo era da fare con molta cautela perché su di essi si scaricava il peso della trabeazione e della cuspide. In effetti l’ inserimento comportò molte rotture, cui si rimediò con altrettanti tasselli che documentano che c’erano parecchi altri capitelli a disposizione, E tutti evidentemente non potevano che provenire dall’originaria edicola che circondava la ‘statua di Marte’.
Nel titolo: particolare della miniatura del Codice del Biadaiolo in cui si rappresenta l’episodio dei Fiorentini che donano pane ai poveri cacciati da Siena per la grande carestia del 1328-30; si nota la lanterna senza vetri.
Sotto: la stessa miniatura per intero e particolare del Codice Chigi della Cronica (f. 80r) in cui si vede, al colmo del tetto, quello che sembra davvero un ‘capannuccio’ in legno, sia per la forma che per il colore.
Nella foto a sinistra si vedono le rotture dei capitelli della lanterna causate dall’inserimento delle vetrate e i tasselli con cui si è cercato di rimediare.