Tipologie e progettazione 'sociale' (1992)
L’esigenza di realizzare condizioni di sicurezza negli edifici è una condizione primaria che si ritrova nell’attività edilizia di ogni epoca. In questo rilievo dell’età del ferro si vedono abitazioni germaniche protette da corna apotropaiche poste sul colmo delle capanne (simili ai simboli che si vedono in antichi trulli pugliesi), oltre che da guerrieri e da un recinto dentro il quale sono protette anche le bestie.
Nel 1992 ero incaricato di un corso di Architettura Sociale, una materia che era nata dopo il ’68 per insegnare i fondamenti tipologici e funzionali degli edifici di uso pubblico, e che veniva in qualche modo a sovrapporsi a una disciplina di lunghe e gloriose tradizioni accademiche, Caratteri Distributivi degli Edifici. Scrissi allora questo testo sulle tipologie edilizie e sulla loro utilità come riferimenti da tenere nella progettazione, portando vari esempi: abitazioni, teatri, ospedali, sale da concerto, stadi ecc. Le tipologie edilizie rappresentano infatti una sintesi equilibrata di molti fattori, e permettono di ottenere realizzazioni corrette sul piano funzionale e rispondenti alle aspettative dell’utenza. Ciò non implica una rinuncia alla creatività, che anzi deve essere sempre ricercata per non appiattirsi su realizzazioni standard.
Tipologie e progettazione ‘sociale’
in: AA.VV., Perturbazioni – Firenze. Ricerche in architettura, Alinea 1992
Benché siano esistite architetture fatte per non essere accessibili o per restare molto accuratamente chiuse, come il tempio di Giano, la piramide di Cheope o la Ghiacciaia di Monte Senario, ha un senso molto limitato pensare oggi all’architettura come qualcosa di esclusivo, destinato solo al soddisfacimento di un singolo e scollegato perciò da una potenzialità d’uso comunitario. Oggi più che mai si avverte il bisogno che l’ architettura e la progettazione abbiano per obiettivo primario il soddisfacimento dei bisogni di gruppi di persone e di comunità. Per i contesti in cui si pone l’opera, per la cultura che la esprime, per le risorse che vi vengono impiegate, la socialità è connaturata con l’idea stessa di architettura; e tra gli scopi più importanti della progettazione architettonica c’è sempre stato anche quello di promuovere le forme di socialità civile, trovando di volta in volta lo spazio più adatto per favorirle ed esprimerle, per attuare i comportamenti desiderati e rendere meno attuabili quelli non desiderati. E la costanza nel tempo di alcuni comportamenti sociali che permette il riuso degli spazi architettonici; ed è grazie a questa utilitas che gli spazi vivono e sopravvivono (I).
Che cosa si deve intendere perciò per “architettura sociale”? Senza presumere di esaurire la complessità del tema (2), limiterei il campo a ciò che propriamente attiene alla cosiddetta edilizia civile, escludendo quelle branche (disegno industriale, urbanistica, giardini ecc.) che pure hanno anch’esse un profondo impatto comunitario. Definirei perciò oggetto dell’architettura sociale lo studio di ogni intervento concepito (non necessariamente attuato) in funzione di uno spazio architettonico d’uso comunitario; e spazio architettonico ogni luogo intenzionalmente creato per accogliere i comportamenti sistematici di una utenza strutturata, o per porre i presupposti di quei comportamenti.
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Florence Nightingale (1820-1910) contribuì con la sua esperienza di infermiera, maturata sui campi di battaglia, a rendere più razionale la tipologia degli ospedali, creando le ‘Nightingale wards’.
Fortezza e città - Studio per la sistemazione della Fortezza da Basso e del suo intorno (1983)
Nel 1983 il Centro Studi ‘Enrico Mattei’ di Firenze commissionò a un gruppo di architetti – oltre a me, Romano Vittorio Fioroni, Marco Jodice, Renzo Manetti e Luca Paoli – lo studio di una possibile sistemazione della Fortezza da Basso per attività congressuali ed espositive, ponendo particolare attenzione ai rapporti con la città e con la viabilità circostante e le strutture esistenti, come il Palacongressi e il Centro affari. Lo studio fu presentato il 1° giugno 1983.
Si allega un articolo con la relazione di progetto (Bollettino Tecnico nn. 5-6, 1983).
Link:
Relazione Fortezza
Conformazione e storia della piazza fiorentina di Santa Felicita (1978)
Uno dei nodi più antichi e importanti della struttura urbana di Firenze, quello che sta capo del Ponte Vecchio dalla parte di Oltrarno, fu oggetto di un mio studio per una ricerca sulle piazze toscane diretta da Luigi Vagnetti, che fu pubblicato nel 1978 sulla rivista del nostro Istituto di Composizione architettonica. Il testo ripercorre le vicende e le trasformazioni di questo luogo tra il V ed il XX secolo, vale a dire dalle tombe di un cimitero paleocristiano agli attuali negozi di moda e ai fast food. Unico legame che attraversa tanti secoli di storia è l’ostinata presenza di una chiesa dedicata a una santa dalle connotazioni incerte.
Conformazione e storia della piazza fiorentina di Santa Felicita
‘Studi e documenti di architettura’ n. 7 – aprile 1978
Ripercorrendo, tra il Ponte Vecchio e Pitti, un cammino segnato nel tempo, non è che l’attenzione dei turisti venga attratta in modo particolare dalla piazza di Santa Felicita: poco più di un posteggio davanti al portico della chiesa, un paio di ristoranti, una bancarella e dei negozi immersi nel rumor di traffico della via Guicciardini; tutt’intorno, alti muri di case non espressive, più nuove che vecchie, e molto alte, sì che anche la presenza di un’antica colonna diventa trascurabile, e la memoria non ha motivo di fermarsi su nulla.
Le indicazioni di una guida spingeranno invece qualche appassionato a visitare la chiesa: Santa Felicita, eretta sul luogo di un edificio e di un cimitero paleocristiano, fu rinnovata nei sec. XI e XIV, e rifatta completamente dal F. Ruggieri nel 1736, il quale conservò l’alto portico del Vasari con sopra il Corridoio che unisce gli Uffizi a Palazzo Pitti … L’interno è a una navata: a destra la cappella Capponi, edificata da Brunelleschi per i Barbadori: vi sono pregevolissimi dipinti del Pontormo (1526-28) e del Bronzino; la Sagrestia, di elegante architettura nello stile di Brunelleschi (1470) ha un polittico di Taddeo Gaddi e una tavola a fondo d’oro di Neri di Bicci; nella sala del Capitolo, “Cristo e le sette Virtù” e una Crocifissione di Niccolò Gerini. il Coro fu eretto tra il 1610 e il 1620 su bel disegno del Cigoli; nelle varie cappelle, opere di Santi di Tito, della scuola di Taddeo Caddi, del Voiterrano, del Ferrucci, e poi ancora del Boschi, del Ciseri, del Poccetti, del Gherardini. Uscendo, si nota la colonna eretta nel luogo di una vittoria dei fedeli di San Pier Martire sui Patarini; poi si riprende la via Gucciardini, eccetera eccetera: si può voltar pagina per Pitti.
Ma non tutto quello che questa piazza è può essere riassunto in poche righe, naturalmente: se ne accorge in particolare chi, oltre che d’arte e di cose belle, è anche appassionato di storia; oppure chi, avendo approfondito un po’ la conoscenza del luogo, si trova ad esserlo diventato quasi senza volerlo. Certamente tutti i luoghi di Firenze hanno legate a sé storie e memorie, e tutto sembra parlarci e quasi pretendere la nostra attenzione: e così anche la piazza di Santa Felicita. Solo che, dietro una apparente semplicità, essa nasconde problemi e motivi interessanti e particolari, e non del tutto risolti, sì che ne nasce un certo fascino che incuriosisce e attira; e alla fine può anche succedere che quella che credevamo una morta archeologia diventi motivo di interesse per intendere il nostro stesso presente.
E dal presente prende le mosse questo studio: il primo passo è quello di capire, o meglio di ordinare ciò che ci sta davanti; fare cioè un inventario di quello che compone questo insieme urbano, per poi cercarne, finché possibile, cause ed origini.
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