Quando uno studente di progettazione deve passare qualche ora chino su un tavolo a disegnare, oppure seduto a fissare sul monitor le sue elaborazioni CAD, si può scommettere che prima o poi si metterà gli auricolari per ascoltare musica; e il genere possiamo immaginarlo. Tutto normale.
Ma a me, durante le esercitazioni in aula, tutto ciò faceva pensare a un’occasione didattica mancata, perché mi sembrava che, a parte i contenuti, quel tipo di musica proponesse strutture sonore fin troppo semplici e ripetitive, con ritmi, tempi e sequenze piuttosto elementari, e che ciò poi si potesse riflettere nel modo di progettare, portando quei ragazzi a creare spazi anch’essi semplici, ripetitivi, elementari. A loro sarebbe stato utile conoscere e memorizzare altri ritmi e altre sequenze; altre musiche insomma, dalle quali avrebbero potuto forse trarre spunto, negli insondabili processi della fantasia creativa, per progettare nuovi spazi stimolanti a livello edilizio e anche urbano. Argomenti che qui posso solo accennare, ma che hanno risvolti ben concreti: oggi, per dire un caso, vengono applicati nei grandi studi di progettazione dei centri commerciali per indirizzare le persone all’acquisto delle merci.
Io non potevo certo scaricare sui miei studenti argomenti del genere; comunque volli tentare lo stesso un piccolo esperimento.
Portai in aula un lettore e alcuni cd di musica, tutta rigorosamente classica, detti il tema dell’esercitazione da fare, chiusi la porta in modo che nessuno scappasse e pigiai il tasto play. Così, durante le mie ore di lezione si diffondevano nei corridoi – beninteso a volume contenuto – melodiose tracce sonore e perfino qualche gorgheggio. Il mio corso aveva come assistenti Ravel, Sciostakovic, Rossini, Ciajkovsij.
I custodi mi guardavano un po’ perplessi e un po’ divertiti, mentre i ragazzi sopportarono tutto educatamente, e qualcuno si spinse anche a chiedere informazioni su quello che aveva ascoltato. Naturalmente non li torturavo troppo: avevo scelto brani resi piuttosto noti grazie ai film e alla tv, e anche orecchiabili. Comunque andasse l’esperimento, per me era come aver seminato in un campo arato sperando che qualcosa potesse poi germogliare.
Ma che cosa?
L’esperimento partiva da lontano. Era sempre stato un mio pallino quello di infilare appena possibile qualche riferimento musicale in ciò che raccontavo a lezione, e lo facevo nonostante la mia totale ignoranza riguardo alle teorie musicali; ma se correvo questi rischi didattici era perché mi premeva far passare, sia pure per via subliminale, il messaggio dell’esistenza di un’affinità tra la composizione dell’architettura e quella della musica. Spazi architettonici e spazi musicali propongono la creazione di strutture compositive e percettive che si sviluppano entrambe nel tempo, e che quindi possono avere ritmi, sequenze, contrappunti, temi, variazioni. Perciò pensavo che per insegnare progettazione sarebbe stato utile affiancare al docente architetto un collega del conservatorio, allo scopo di fornire agli allievi le basi di ciò che è comune ai due versanti, quello delle composizioni architettoniche e quello delle composizioni musicali, guidando all’ascolto critico di brani scelti d’esempio e poi all’analisi congiunta di spazi e progetti.
Io ho lasciato l’insegnamento ormai da qualche anno, ma, per quanto ne so, mi sembra che ancora nelle materie di progettazione si seguano strade del tutto diverse.