La costruzione del Tempio di Marte dovrebbe essere stata promossa da Stilicone nell’immediatezza della vittoria su Radagaiso: diciamo verso ottobre-novembre 406. La conclusione dei lavori invece ce la indica l’ambasceria dei fiorentini a Onorio per chiedergli il permesso di rimuovere la sua statua, che deve essere datata non oltre l’agosto del 423, data della morte di lui.
Nel 423 dunque la statua era al suo posto e si voleva usare il Tempio come chiesa: ciò vuol dire che come minimo la costruzione al grezzo era completata e l’interno finito anche nei pavimenti e nei rivestimenti. La costruzione sarebbe perciò durata 17 anni, ai quali si potrebbe aggiungere qualche altro anno perché dovevano essere ancora da eseguire i rivestimenti esterni, se non tutti almeno una parte, dato che i gheroni d’angolo furono rivestiti solo al tempo di Arnolfo. In tutto, insomma, si possono calcolare poco più di vent’anni, che è un tempo possibile ma piuttosto breve, perché nel calcolo andrebbe compresa non solo la durata dei lavori, ma anche il tempo necessario agli accordi, alla stesura del progetto, alla ricerca dell’esecutore, alla stipula dell’appalto.
Queste fasi preliminari furono insomma molto contenute, e ciò significa che i canali che i fiorentini attivarono a Roma, e dei quali parlano le cronache, funzionarono alla perfezione, e che i lavori procedettero con speditezza nonostante la distanza da cui giungevano i marmi lavorati. Si può pensare che la grande organizzazione degli appaltatori, frutto di esperienze secolari, abbia permesso il contenimento dei tempi ottimizzando la filiera di produzione, spedizione e montaggio dei marmi, e operando a Firenze sul grezzo mentre sulla cava (che credo si trovasse in area egea, tra Grecia e Turchia) si preparavano i pezzi.
Ma il progetto non poteva sovrapporsi all’esecuzione, e per la stesura di un progetto così perfetto e dettagliato si potrebbero stimare tre-quattro anni, che andrebbero tolti dai venti calcolati, restringendo il tempo di esecuzione in maniera critica.
E allora?
Allora le ipotesi sono due, non necessariamente alternative, entrambe verosimili e congruenti con il contesto storico.
Una è che siamo di fronte a un exploit imprenditoriale reso necessario dalla disastrosa situazione degli appalti pubblici: un’occasione del genere non la si poteva perdere, per cui si batté ogni record.
L’altra è che i fiorentini comprarono un pacchetto già pronto, progetto e marmi; e questo sarebbe uno scenario assai suggestivo, ma con buone probabilità di fondatezza.
Qualcuno in precedenza poteva avere avuto bisogno di un monumento tropaico e poi non aveva dato corso all’ordine?
Sì, è possibile e anzi probabile: lo stesso Stilicone aveva avuto occasione di celebrare quattro anni prima un’altra sua grande vittoria, questa volta sui barbari di Alarico respinti a Pollenzo nel 402, e nell’occasione aveva eretto un arco trionfale a Roma. Qui bisognerebbe aprire una parentesi sulle vicende personali di Stilicone in quegli anni, ma basti dire che aveva in Senato nemici che lo volevano morto; e infatti nel 408 fu ucciso a seguito di una congiura che non risparmiò il figlio, la moglie, gli amici, i suoi protetti, i suoi soldati. Seguì anche la damnatio memoriae, per cui non sappiamo molto dei suoi trionfi, ma al riguardo qualche traccia c’è. È insomma possibile che una sua iniziativa fosse rimasta a mezzo, e che lui la portasse a compimento in quest’altra occasione simile e di poco successiva, grazie ai fiorentini.
Un’ultima osservazione va fatta a proposito della data del 436 per il completamento della costruzione che Filippo Buonarroti riporta di aver trovato scritta in una nota oggi perduta. Questa data aggiungerebbe un’altra dozzina di anni al conteggio appena fatto: come si spiega?
La spiegazione potrebbe essere che quella nota perduta si riferisse al completamento dei lavori per la trasformazione dell’edificio in chiesa, ed è anche immaginabile che i cattolici fiorentini abbiano dovuto perdere un po’ di tempo a reperire le risorse necessarie a fare le trasformazioni che a loro interessavano ricorrendo a una sorta di crowdfunding, dato che di finanziamenti pubblici non c’era speranza.
E allora, in conclusione, non sarebbe un caso se l’architettura del nostro Battistero ha avuto forme così assolute e ideali, perché molto verosimilmente era stata progettata per essere collocata in qualunque luogo ci fosse da celebrare la gloria di Roma. Qui a Firenze bastava qualche ritocco – di cui credo resti anche qualche traccia – e tutto sarebbe andato a posto.
E non ci sarebbe nemmeno da meravigliarsi se la meridiana solare non funzionò: secondo recentissimi studi di Gabriele Casetta, infatti, sarebbe stata calcolata sulla base dell’inclinazione dei raggi solstiziali proprio alla latitudine di Roma[1].
[1] G. Casetta, «Il Battistero di Firenze – Una lettura liturgica e simbolica» – tesi discussa al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma a.a. 2021, p. 128 (non edito).
Le aree di provenienza dei marmi del Battistero.