Una collega di Storia dell’Architettura raccontava che una volta stava per bocciare uno studente, quando lui le chiese la grazia di un’ultima chance. Una sorta di istinto materno le suggerì una domanda facile: «Parlami di Giotto». Ma quello per lui non era un aiuto: «Professoressa, se lei mi chiede i minori…».

Mi capitava di ripensare a quell’aneddoto quando entravo in aula all’inizio di un corso e mi domandavo chi erano quei ragazzi che si aspettavano che io insegnassi loro a progettare. Sicuramente alcuni di loro erano così bravi che presto ne avrebbero saputo più di me, ma quanti invece nascondevano dietro una faccia simpatica e sorridente abissi insondabili di purissima ignoranza?
Per cercare perciò di rapportarmi al mio uditorio un giorno pensai di far compilare agli studenti del corso una scheda in cui, oltre a chiedere qualche informazione burocratica, proponevo un piccolo sondaggio sui loro interessi culturali e sulle loro attività extrascolastiche. Ripetei l’esperimento per alcuni anni, fino a raccogliere un corposo dossier. Risultati?

La maggioranza delle risposte rivelava un background culturale decisamente scarso, con poco approfondimento e grandissimi vuoti, e una struttura di valori attinta soprattutto dai famigerati mass media piuttosto che dalle letture o dalla frequentazione di gruppi e ambienti culturali. I ripetuti errori di scrittura dei nomi di autori o personaggi, poi, facevano capire che le informazioni venivano attinte per lo più verbalmente, ‘a orecchio’, e con uno scarso livello di attenzione.
Questo divario tra lingua parlata e lingua scritta mi era già noto per avere letto parecchie relazioni di studenti in cui si trovavano ripetuti con la massima indifferenza strafalcioni sintattici e grammaticali d’ogni genere. Ne avevo dedotto che oggi il concetto di errore è molto diverso da quello delle generazioni più vecchie, e assai più elastico. Oggi molto spesso si ritiene che sia sufficiente farsi capire, e come ciò avvenga non ha poi molta importanza.

A fronte a questa maggioranza di studenti la cui preparazione si dimostrava ben al di sotto della soglia che un tempo sarebbe stata richiesta per accedere alla scuola media, stava però anche una corposa minoranza che dimostrava invece una vivace base di interessi anche al di fuori del campo di studi, e spesso un impegno apprezzabile e confortante nella vita quotidiana e nelle attività di volontariato.
Comunque, dalla mia lunga esperienza non ho tratto un giudizio negativo sugli studenti, a parte qualche caso rarissimo: cosa che invece non potevo dire nei confronti del servizio che evidentemente era stato loro offerto dalle istituzioni scolastiche nella scuola secondaria. E non parlo dell’università.

Riporto qui alcune di quelle schede, rese debitamente anonime, per la sola parte relativa al sondaggio.