– Prof, mi sposerebbe?
Dopo un attimo di smarrimento e due risate, fu subito chiarito che si trattava di celebrare in Palazzo Vecchio le nozze di lei, promettente architetta laureatasi con me qualche mese prima, con un giovane tutore dell’ordine, avviato a una dura carriera ma motivatissimo.
Che bella coppia quei due ragazzi, due di quelli che fanno bene sperare per il futuro del nostro tribolato paese, come ne ho conosciuti tanti; e potrei anzi dire tutti. E che onore per me: credo non siano molti i prof che possono vantare una tale dimostrazione di affetto.
Così un giorno mi misi la fascia tricolore.
Alla cerimonia eravamo tutti emozionati e commossi: una bella giornata, un bellissimo ricordo.
Qualche anno dopo, però, le vicende della vita – e gli effetti di qualche intrallazzo – portarono i miei due sposini a dover stare lontani: lui a fronteggiare la malavita organizzata e gli sbarchi di disperati nel profondo sud, e lei ad aggiungersi alla schiera dei nostri laureati che trovano continuamente accoglienza nelle università straniere. E novemila km di distanza non potevano certo giovare al loro matrimonio.
Che peccato.
Ma adesso sono di nuovo felici, e questo è ciò che importa.