11 – Il progetto in persona
A questo punto si proponeva un interrogativo: come si riuscì a gestire una costruzione così complessa operando in luoghi lontanissimi? La risposta richiederebbe un discorso molto lungo, ma vediamo in sintesi alcuni punti fondamentali.
Per i costruttori, l’imprescindibile, ovvia premessa di tutta l’operazione fu certamente quella di elaborare un progetto molto ben definito, che non comportasse correzioni, dubbi o ripensamenti, o li riducesse comunque al minimo, altrimenti, date le distanze su cui si operava, tutta l’operazione sarebbe stata un fallimento. E il Battistero testimonia pienamente che si seguì questa strada, perché è un meccanismo talmente perfetto da aver suscitato l’incondizionata ammirazione di tutti i più grandi architetti di ogni epoca. Il progetto del Tempio non ammetteva modifiche.
Ma questo progetto, materialmente, com’era fatto?
Nel mondo antico non esistevano i sistemi di rappresentazione usati nel disegno tecnico di oggi, ma si sapevano disegnare piante, sezioni, particolari, e si usavano modelli, sagome, campioni. L’insieme di queste rappresentazioni parziali doveva però trovare chi le sapeva gestire, e questo era l’architetto. Al tempo, insomma, il progetto non era un insieme di documenti, cioè di tavole disegnate e di pagine scritte, come è oggi, ma era una persona, era l’architetto stesso, che sapeva utilizzare i disegni e i modelli che servivano e che impartiva le istruzioni operative a chi doveva realizzare l’opera. Come un direttore d’orchestra che conosce a memoria lo spartito, lui insomma doveva avere ben chiare nella sua mente tutte le singole operazioni necessarie a costruire l’edificio, ed era pronto a spiegarle a capimastri e operai e a risolvere i loro problemi, in modo da portare a termine con successo la costruzione rispettando i patti stabiliti nell’appalto.
L’architetto possedeva questa qualificazione non solo per capacità personali e per gli studi fatti, ma anche per aver maturato un adeguato tirocinio pratico presso un collegio di costruttori o un’impresa. E per quest’ultimo aspetto è da credere che l’architetto del Tempio fosse di origine greca o mediorientale, dato che i maggiori centri di produzione dei marmi per edifici monumentali erano in area ionica, e che si fosse trasferito a Firenze per seguire i lavori insieme a un gruppo di collaboratori che dovevano tenere i rapporti con gli esecutori e con i fornitori di materiali. Oltre a questo ruolo di sorveglianza e coordinamento, a lui spettava anche il compito di tenere i rapporti con i committenti, ai quali doveva rispondere dell’andamento dei lavori.
12 – Il Tempio non vestì Prada
Il ruolo di un architetto romano era molto diverso da quello che si intende oggi; e meno male, perché non oso pensare a che cosa sarebbe avvenuto se per costruire il Tempio i duumviri di Florentia si fossero rivolti, come fanno i nostri sindaci, a un archistar di grido, se al tempo ne fosse esistito qualcuno. L’archistar avrebbe sicuramente dato dimostrazione della sua fantasia e del suo gusto creando un capolavoro-griffe, fatto a sua immagine e somiglianza, secondo cioè il suo brand personale; e così noi oggi avremmo avuto il Tempio di Prada, o di Armani, per dire di una grande firma dell’architettura, della cui maison avrebbe recato l’impronta riconoscibile e indelebile.
Per nostra fortuna, e per fortuna di Firenze, della storia dell’arte e dell’architettura, le cose non sono andate così. Il Tempio non poteva recare i segni distintivi di un singolo personaggio, perché doveva rappresentare Roma, la sua storia, la sua cultura, il suo popolo. Doveva essere un monumento corale: l’architetto aveva la libertà di esprimersi come tecnico e come artista, ma dentro una cornice rigida, che era quella dei simboli da usare e dei messaggi da veicolare.
La forma ebbe dunque delle ragioni precisissime, e non è esagerato dire che fu emozionante scoprirle alla luce non solo dei soliti preziosi testi di archeologia classica, ma anche di quelli della religione romana. Ciò non deve sorprendere, perché nel mondo romano il naturale e il soprannaturale coesistevano in una sovrapposizione perfetta, che a noi moderni riesce difficile immaginare riversata nei mille rivoli dell’esistenza quotidiana nella quale per noi il soprannaturale è ristretto in ambiti molto limitati, o non rientra più.
Avevo un’altra chiave di lettura del monumento che si aggiungeva alle precedenti: quella progettuale.
13 – All’esame dei prof
Avevo trovato così un’altra chiave di lettura del monumento, quella progettuale, e come docente di progettazione non resistetti nemmeno un minuto alla tentazione di immaginare come sarebbe andato l’esame dell’architetto.
Ecco qua l’esito della fantaprova.
Tema 1 – Celebrare la gloria di Roma
Il candidato dimostra un’adeguata conoscenza dell’arte trionfale proponendo una composizione basata su uno spazio centrale con edicola e trofeo. I simboli sono espressi con la giusta evidenza e risultano comprensibili anche da un illetterato. Apprezzabile l’interpretazione in chiave metastorica dello spazio interno. Poco originali i simboli eroici posti nelle rosette di alcuni capitelli.
Giudizio: discreto.
Tema 2 – Celebrare il condottiero vittorioso
Il candidato propone di raffigurare l’imperatore con una statua equestre posta su una colonna al centro dell’edicola; la composizione è corretta ma non particolarmente originale.
Giudizio: sufficiente.
Tema 3 – Progettare lo spazio delle udienze
Il candidato propone di porre sul pavimento una normalissima rota porfiretica, ma la arricchisce con un disegno piuttosto originale che bene visualizza la distanza da tenere rispetto alla sacra persona del sovrano.
Giudizio: buono.
Tema 4 – Progettare gli apparati per il culto dell’imperatore
Il candidato propone di creare due eventi simbolici incentrati sulla proiezione di raggi solari nell’interno. Uno consiste nel captare, al mezzogiorno del solstizio d’estate, la massima potenza dell’astro grazie a una speciale meridiana da realizzare verso la porta nord; l’altro invece nel celebrare ogni mattina all’alba la vittoria del Sole sulle tenebre della notte facendo attraversare la porta est dai primi raggi del giorno.
La commissione osserva che le proposte non sono particolarmente originali perchè rientrano nelle correnti tradizioni, ma la messa a punto della meridiana a nord appare molto problematica, mentre per la porta est ne dovrebbe essere evidenziato il ruolo simbolico con qualche elemento che lo sottolinei.
Giudizio: piuttosto cervellotico ma originale; buono.
Tema 5 – Idee per formulare un augurio di prosperità e pace
Il candidato propone di non modificare l’unità dello spazio del Tempio con aggiunte improprie, ma di creare, in occasione della cerimonia inaugurale, un allestimento effimero incentrato sui simboli del dio Terminus, che sono appropriati per esprimere il concetto dell’augurata resistenza dell’impero davanti alle invasioni in modo comprensibile a tutti.
Giudizio: sufficiente.
Il candidato è approvato, voto 28/30.
(seguono data e firme illeggibili)
Giudizio non brillante, come si vede, ma quei prof di poca apertura mentale (ce ne sono, sapete?) giudicavano guardando tutto con i paraocchi dell’arte ufficiale, e probabilmente erano anche un po’ invidiosi della bravura del candidato. Succede. Meno male però che non hanno respinto l’idea di Terminus: senza Terminus questa ricerca non sarebbe potuta iniziare.
14 – Un sequel a lieto fine, ma…
Superato l’esame, fine della ricerca? No: ne iniziava un’altra sulla seconda vita del monumento.
Un sequel.
Ambientazione: una prospera città di provincia, gente concreta, dedita al lavoro.
Trama: la realizzazione di un nuovo look che renda presentabile il protagonista, un ex Tempio di Marte.
Ma presentabile per chi? Vediamo un po’ (in ordine di entrata in scena).
Per i cattolici? Impazienti, se ne impossessano subito ma sono presto buttati fuori.
Per gli ariani? Subentrano valendosi di protezioni politiche, ma non durano perché scoppia una guerra.
Per i bizantini? Occupano la città in mezzo a lotte furibonde coi goti; hanno altro a cui pensare.
Per i goti? Per scaramanzia evitano Firenze memori di quanto ha portato male a Radagaiso.
Per i fiorentini? Nel dopoguerra hanno solo gli occhi per piangere e sono tiranneggiati dai Fiesolani.
Per i Longobardi? Tipacci, figuriamoci.
Per i Franchi? Forze di occupazione.
Per il vescovo? Sparito per secoli.
Ma insomma per chi?
Il protagonista, il nostro Tempio, è ormai un trovatello degno di un romanzo di Dickens. Nessuno è in grado di rivendicare proprietà o diritti, chi ha il potere in città lo vorrebbe per sé perché è bello e dà prestigio, ma non ci spende un centesimo per mantenerlo. Non si sa nemmeno come chiamarlo, perché battistero non è, né che cosa farne di preciso: l’utilizzo religioso non è esclusivo, ci si fa un po’ di tutto, regna una grande confusione.
Il sequel è noioso, non succede nulla, l’auditel precipita. Ci vuole un personaggio che faccia volare gli indici di ascolto. E finalmente eccolo: è potente, colto, ama Firenze. È il papa, che si vuole di più?E papa Niccolò agisce: decide l’utilizzo esclusivo come battistero, trova gli sponsor che hanno i soldi, avvia un programma di lavori e decorazioni. Evviva papa Niccolò.
Tutto chiaro, tutto bello. Salvo un punto: se il Tempio diventa ufficialmente il battistero cittadino, la piccola e sgraziata Santa Reparata non può proporsi come la sua cattedrale. Finché i ruoli sono diversi, vabbè; altrimenti il confronto è impietoso, Firenze fa una figura ridicola davanti a tutti quelli che passano per andare a Roma, per non dire del paragone con Pisa. Comunque la decisione è presa: anche se si dovrà costruire una cattedrale più grande e più bella, e anche se questo vorrà dire una spesa enorme, il Tempio di Marte diventa il Battistero di San Giovanni.
Si iniziano così i lavori, ma senza avere ben chiaro che la nuova cattedrale avrebbe dovuto avere una cupola come non se n’erano mai viste; e questo avrebbe potuto voler dire un disastro.
Ma per fortuna sappiamo come andarono le cose.
15 – Titoli di coda
Dunque quello che all’inizio sembrava un film muto aveva alla fine trovato la sua traccia sonora, e aveva fornito una spiegazione anche di ciò che pareva inspiegabile, o che si era tentato di spiegare in ogni modo, anche con contorcimenti mentali al limite dell’assurdo. Aveva anche spiegato tra l’altro la leggenda di Marte, nata in un contesto di tristissime vicende che avevano al centro proprio il Tempio, e per le quali si spiega l’amore profondo dei fiorentini che vedevano nel loro Tempio-Battistero il testimone delle loro disgrazie.
Il risultato raggiunto apriva un invitante panorama di possibili ricerche, ed era deprimente pensare a quanto l’insistita idea del monumento medievale aveva fatto perdere a chi studia l’arte e la storia, a chi le insegna, a chi ama Firenze.
Avevamo scoperto che al centro di Firenze c’è un edificio che è l’unico del suo tipo giunto fino a noi integro, e che quindi poteva essere studiato in questa nuova, ampia prospettiva, anche considerando che nei tre quarti del suo sottosuolo che sono ancora da scavare si trovano certamente molti altri reperti integri e interessantissimi. Ad esempio, resti di frutti e di raccolti che potrebbero parlare delle coltivazioni praticate allora, o impasti di calci che potrebbero essere sottoposte a prove di datazione per confrontarle con quelle dei letti murari dell’elevato. Molte sono dunque le ricerche che si potrebbero fare, e con prospettive ben più positive di quelle per esempio che si avevano quando si è andati a cercare i resti di Monna Lisa a Sant’Orsola.
Questo stimolante scenario di nuove ricerche pensavo potesse interessare chi studiava l’argomento, ma mi sbagliavo. Ufficialmente il Battistero resta romanico. Si continua a credere vera una storia che invece non sta in piedi.
Vogliamo dire che si è rivelata una balla colossale? Ormai, a chi dice che il battistero è romanico si può credere solo per fiducia nella sua autorevolezza, perché invece, seguendo le indicazioni delle cronache, si arriva a spiegare tutto in maniera non contraddittoria e senza il bisogno di riscrivere la storia dell’arte da capo, rovesciando tutti i criteri fin qui usati e condivisi. Come voler sostenere che il mare è una conseguenza dei pesci, e non viceversa.
Insomma: alla fine sono arrivato in cima al Battistero. È stata una faticaccia, ma di lassù si vede un panorama bellissimo.
E chi crede che è un edificio romanico non sa quello che si perde.










