Premessa
1 – Come caddi in un buco nero
Tutti conoscono il Battistero di Firenze, il Bel San Giovanni tanto amato da Dante, e per tutti è ovvio che è un battistero e un capolavoro dell’architettura fiorentina. Secondo me invece non è vero niente, non è un battistero e non è un’opera fiorentina; e chi vuole sapere perché può leggere quello che ho scritto sull’argomento. Qui invece racconto come sono arrivato a una conclusione così bizzarra: un cammino lungo e spesso segnato dal caso.
Tutto ebbe inizio molti anni fa, quando, durante la discussione di una tesi in Architettura, il prof. G., presidente della commissione, interruppe un laureando che aveva accennato ad inoltrarsi nell’argomento delle origini del Battistero: «Guardi, lasci perdere, questo è un problema da far tremare i polsi». Rapido dietrofront del tapino, che riuscì così a laurearsi, ma quel brusco stop del prof. G. mi fece riflettere. Dunque – pensai – al centro di Firenze, e nel cuore della sua storia e della sua arte, c’è un buco nero profondissimo, nel quale si sono persi chissà quanti esploratori. Ma non potevo certo immaginare che mi sarei trovato anch’io ad essere uno di loro. Andò così.
Un pomeriggio, passando per una via del centro da cui non passo mai, scoprii un negozio di libri di seconda mano che aveva in un angolo della vetrina un volumetto bigio che mi incuriosì: «Terminus – I segni di confine nella religione romana». Fu così che feci la conoscenza con questo stranissimo dio – Terminus era appunto un dio – la cui sola funzione era quella di stare piantato in terra e non fare assolutamente nulla. Spiegare perché gli antichi Romani, gente di buon senso, avessero concepito una divinità così anomala sarebbe un discorso che riserverebbe molte sorprese, ma ci porterebbe lontano: qui basti dire che, come avrei scoperto di lì a poco, nel mito di questo personaggio era nascosta la chiave di quel problema che faceva ‘tremare i polsi’.
Passarono alcuni mesi; poi, un giorno in cui me ne stavo a casa malato, sfogliando per passatempo la Cronica del Villani, capitai dove si racconta che, quando il Battistero era un Tempio di Marte, aveva la cupola aperta in alto come quella del Pantheon, e che quell’apertura era stata fatta perché la statua di Marte che ci stava sotto doveva necessariamente rimanere «scoperta al cielo». Questa spiegazione assurda mi incuriosì, perché è evidente che spiegare con le esigenze di una statua la creazione di un’apertura da cui entravano acquazzoni che infradiciavano i muri e correnti d’aria che causavano bronchiti e raffreddori è un nonsense degno di Lewis Carroll; oltretutto, Villani avrebbe potuto facilmente inventarsi qualcosa di più plausibile, ad esempio che l’architetto aveva voluto imitare il Pantheon. Se dunque aveva sfidato il ridicolo doveva essere perché quell’informazione l’aveva copiata da una fonte molto autorevole, probabilmente un testo conservato negli archivi del Comune che lui frequentava.
E infatti quella sua fonte meritava fiducia, perché quell’informazione aveva una base di verità che Villani non conosceva, ma io sì, grazie a quel volumetto bigio dal quale ero venuto a sapere che lo stare «scoperto al cielo» era una precisa caratteristica del dio Terminus, inconfondibile come un’impronta digitale o un codice a barre. Poteva esserci un equivoco? No, perché due righe sotto Villani aggiungeva che la statua non doveva essere spostata, altrimenti Firenze ne avrebbe avuto terribili sconvolgimenti, e anche questa era un’altra inequivocabile impronta del dio immobile, perché se qualcuno lo spostava lui la prendeva molto male e succedeva il finimondo.
Da tutto ciò trassi la conclusione che un antico testo consultato da Villani riferiva l’esistenza di un legame tra la statua, il dio Terminus e il Battistero; anzi, con il progetto del Battistero, perché lasciare aperta la cupola doveva essere stata una decisione che aveva coinvolto architetto, committenti e costruttori; e doveva anche trattarsi di un caso diverso da quello del Pantheon, per il cui grande occhio nessuno ha mai prospettato l’idea che sia stato fatto per un motivo del genere.
Mi sembrava una conclusione logica. Ma che senso aveva tutto ciò?
2 – Niente quiz in tv
Spinto dalla curiosità cominciai così a informarmi sulla ‘questione Battistero’, e ben presto mi resi conto che effettivamente era un argomento da far tremare i polsi, perché oggetto di discussioni che andavano avanti da secoli coinvolgendo legioni di studiosi agguerritissimi.
In sintesi: l’evidente classicità del monumento fa pensare che sia romano, ma la teoria oggi prevalente è che invece sia medievale perché scavandoci sotto sono stati trovati i resti di case romane, per cui è parso logico dedurre che sia stato costruito dopo la distruzione dell’antica Florentia.
Il tentativo però di trovargli una collocazione plausibile nell’arco del medioevo ha messo a dura prova i cultori della materia, che hanno scritto di tutto e il contrario di tutto, finché alla fine quelli oggi più autorevoli hanno detto basta: non sappiamo dire esattamente perché, ma il Battistero non può che essere medievale, fidatevi. E questo è quanto si legge sui testi di scuola, su quelli di divulgazione, su pubblicazioni patinate, sulle enciclopedie, su internet, sulle guide turistiche, sui dépliant degli alberghi, sugli involti dei cioccolatini, dappertutto insomma, tranne che nei quiz a premi della tv, perché il notaio di turno non saprebbe come giudicare la risposta di un concorrente, qualunque essa sia.
I dubbi dunque restano, sono stati solo spazzati sotto il tappeto, e lì stanno in compagnia di quella stranissima leggenda che legava Marte non solo al Battistero, ma anche alla città, della quale, come ci ricorda Dante, era stato il ‘primo padrone’ con sinistri poteri.
Che senso aveva quella leggenda? Secondo gli studiosi erano tutte balle; però ci sarà stato pure un motivo se a Firenze tutti, proprio tutti, popolo e intellettuali, ci hanno creduto per secoli; ma quale motivo? Per trovare una spiegazione, qualcuno avanzò l’ipotesi di un’oscura trama a sfondo politico-culturale ordita a vantaggio dei Medici, ma l’idea non ha incontrato l’interesse nemmeno di chi scrive le fiction.
3 – Come un film muto
Così io, che come ho detto ero ormai sopraffatto dalla curiosità, pensai di tornare sul monumento con la pia illusione di cogliervi, chissà, qualche indizio di non so che cosa sfuggito a tutti.
Chiesti i dovuti permessi, lo visitai da cima a fondo, suscitando anche la curiosità dei custodi, che mi avevano sempre tra i piedi, tanto che un giorno, andando su fino alla lanterna (escursione sconsigliabile a chi soffre di vertigini), uno di loro mi chiese educatamente che cosa stessi cercando. Spiegai che insegnavo ad Architettura e che volevo fare uno studio sul Battistero: «Ah, mi fa piacere accompagnare chi studia: quassù non s’era mai visto nessuno». Trovai l’osservazione un po’ inquietante: quanti libri erano stati scritti senza una conoscenza diretta del monumento?
Dalle mie visite però stavo ricavando meno di nulla: osservavo, appuntavo, fotografavo, ma non capivo un’acca. Il Bel San Giovanni era un film muto di cui mi sfuggiva la trama. Solo alcuni particolari della lanterna sembravano confermare che effettivamente in cima alla cupola c’era stata un tempo un’apertura, ma questa non era una novità, perché al riguardo nessuno aveva formulato obiezioni. Su tutto il resto, buio fitto.
Se i muri restavano ostinatamente silenziosi, però, una vaga speranza mi veniva dai miti, perché ora, alla lunga catena di storie e leggende che legava la città, il Battistero e il dio Marte, si era aggiunto un anello, Terminus, il cui ruolo era tutto da interpretare, ma di sicuro era un ruolo importante perché aveva lasciato un suo tangibile sigillo nell’occhio della cupola.
Spostai allora la mia attenzione sulla leggenda della statua di Marte, e qui parve accendersi una piccola luce: collegandola infatti con alcuni aspetti del mito di Terminus su cui ora sarebbe lungo soffermarsi, mi venne il sospetto che il legame con Marte non fosse da spiegare con i culti pagani, ma con qualche fatto ‘marziale’. E a Firenze nel 406 ne era accaduto uno davvero epocale, quando l’esercito romano comandato da Stilicone aveva fermato l’invasione dei barbari del re goto Radagaiso diretti a saccheggiare Roma.
Possibile che i fiorentini avessero eretto un monumento per ricordare quella vittoria?
4 – I pericolosi templi di Marte
Per rispondere a questa domanda dovevo informarmi sui monumenti romani eretti sui luoghi di battaglie vittoriose. Com’erano fatti? C’erano regole o modelli da seguire? Dov’erano quelli rimasti?
Sui testi di archeologia classica trovai tutte le risposte. Questi monumenti rispondevano a tradizioni che costituivano le basi ideologiche dell’arte trionfale, l’arte ufficiale dell’imperialismo di Roma. Si usavano perciò simboli e riti che potevano portare a realizzazioni di diversa forma e consistenza, dalle composizioni scultoree a edifici grandiosi, ma che nella sostanza comunicavano tutte messaggi identici: favore divino per le armi romane, ineluttabile destino di dominio universale dell’impero, bruttissimi guai per i nemici e per chi opponeva resistenza. I Romani, come si sa, non andavano molto per il sottile.
Il nucleo di questi monumenti era sempre un trofeo, parola che oggi fa pensare a qualche competizione vinta, ma che per i Romani esprimeva concetti ben diversi: il trofeo si credeva catturasse la furia omicida che si scatenava nel cuore delle battaglie, e perciò lo si erigeva nel luogo dove quella furia, per una imperscrutabile volontà divina, si era risolta in favore dei Romani perché la rivolgesse ancora contro altri nemici. Una sinistra cappa di magia aleggiava dunque sui monumenti tropaici, e questo in epoca cristiana ne causò la sistematica distruzione perché considerati fonti di stregoneria.
5 – Il dottor Jekyll e mr Hyde
Alla luce di queste indicazioni corsi a controllare se l’architettura del nostro mite San Giovanni poteva nascondere le caratteristiche di un terribile monumento tropaico, e fu sorprendente constatare che ce le aveva tutte. Il dottor Jekyll e mr Hyde, insomma.
La prima verifica riguardò l’anomalia più macroscopica, e cioè le dimensioni del monumento: assolutamente esagerate per quello che doveva essere il battistero di una città di provincia, ma perfette per un simbolo della potenza dell’impero romano, non c’erano dubbi. Si scioglieva così come neve al sole un’evidente assurdità architettonica, irrisolvibile se considerata nei termini di un normale rapporto battistero-cattedrale (quale vescovo pazzo o megalomane poteva avere concepito un battistero del genere?), e si spiegava anche quell’atmosfera potente, tutt’altro che pia e celestiale, che si avverte nell’interno del San Giovanni.
Anche la pianta centrale, la cupola e le quattro porte orientate (perché in origine erano quattro: qui ci sarebbe da dilungarsi, ma andiamo avanti) risultavano perfette per un’architettura che doveva ‘sparare’ su tutto il giro dell’orizzonte la furia racchiusa nel trofeo. E se al centro del monumento c’era un trofeo si poteva anche capire a che cosa servivano le due massicce fondazioni trovate in quella posizione, un plinto quadrato con intorno un anello ottagonale: una sosteneva la statua di Marte e l’altra un giro di colonne. Al centro dell’edificio in origine c’era insomma un’edicola, non un grande fonte, anche perché il fonte avrebbe presentato una serie di incongruenze costruttive che qualunque muratore avrebbe potuto illustrare in modo convincente a un intero uditorio di professori senza sollevare obiezioni.
Così buttai giù qualche schizzo, feci un rudimentale fotomontaggio e alla fine mi apparve l’immagine che aveva pensato l’architetto del Tempio, un’immagine potente e piena di senso. Il Battistero com’è oggi mi appariva adesso uno spazio vuoto, incompleto, una conchiglia senza la perla; anzi, un ordigno bellico disinnescato.
Il Battistero di San Giovanni – disegno del Codice Rustici (Biblioteca del Seminario Maggiore Fiorentino).
Secondo alcuni studiosi il Battistero in origine sarebbe stato così.